“𝐂𝐡𝐢 𝐠𝐨𝐯𝐞𝐫𝐧𝐚 𝐥’𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐦𝐨𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 sta cercando, in modo non troppo nascosto, di 𝐬𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐞𝐠𝐢𝐭𝐭𝐢𝐦𝐚𝐫𝐞 i 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢. Di far passare il messaggio che i giornalisti inventino balle, 𝐧𝐚𝐬𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚𝐧𝐨 𝐥𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀. E allora bisogna 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐨𝐧𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐨 𝐬𝐮 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐨, alzando la voce: fare sempre più 𝐢𝐧𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐭𝐞 in un momento in cui il giornalismo è ostacolato, 𝐢𝐦𝐛𝐚𝐯𝐚𝐠𝐥𝐢𝐚𝐭𝐨 attraverso leggi e querele bavaglio, 𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐠𝐠𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐬𝐩𝐢𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢. E’ arrivato il momento che 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐠𝐨𝐯𝐞𝐫𝐧𝐨 collabori per aiutarci a capire 𝐜𝐡𝐢 𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐡𝐚 𝐬𝐩𝐢𝐚𝐭𝐨 𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢 con tecnologie costosissime”. E intanto “𝐧𝐨𝐧 𝐫𝐢𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐧𝐞𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐚 𝐝𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐫𝐬𝐢 𝐚𝐧𝐭𝐢𝐟𝐚𝐬𝐜𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐨 𝐞̀. I morti non si onorano con le liturgie che furono di 𝐌𝐮𝐬𝐬𝐨𝐥𝐢𝐧𝐢 prima e dei 𝐧𝐞𝐨𝐟𝐚𝐬𝐜𝐢𝐬𝐭𝐢 dopo”. 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐁𝐞𝐫𝐢𝐳𝐳𝐢, presidente dell’𝐎𝐬𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐦𝐩𝐚, è uno dei tre giornalisti che vivono 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐭𝐚, vittime di 𝐢𝐧𝐭𝐢𝐦𝐢𝐝𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐞 𝐦𝐢𝐧𝐚𝐜𝐜𝐞, che ieri, 3 maggio, hanno partecipato al convegno pubblico dedicato al 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 “sotto attacco” nella 𝐆𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐋𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐦𝐩𝐚, iniziativa presentata da 𝐌𝐚𝐭𝐭𝐞𝐨 𝐍𝐚𝐜𝐜𝐚𝐫𝐢, vicesegretario aggiunto della 𝐅𝐧𝐬𝐢, e da 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐌𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐀𝐦𝐚𝐝𝐚𝐬𝐢, presidente dell’𝐀𝐬𝐞𝐫. Il comune di 𝐂𝐨𝐧𝐬𝐞𝐥𝐢𝐜𝐞 ospita da anni questo appuntamento come il monumento, inaugurato quasi 20 anni fa, dedicato alla 𝐒𝐭𝐚𝐦𝐩𝐚 𝐜𝐥𝐚𝐧𝐝𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐚 e alla 𝐋𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐦𝐩𝐚.
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“𝐃𝐨𝐯𝐞 𝐦𝐮𝐨𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐦𝐩𝐚 si spegne la coscienza collettiva. E’ una battaglia che significa insegnare alle 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 che 𝐥𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀ 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐜𝐨𝐦𝐨𝐝𝐚 𝐦𝐚 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢𝐚”, ha esortato il sindaco 𝐀𝐧𝐝𝐫𝐞𝐚 𝐒𝐚𝐧𝐠𝐢𝐨𝐫𝐠𝐢, mentre 𝐒𝐞𝐫𝐞𝐧𝐚 𝐁𝐞𝐫𝐬𝐚𝐧𝐢, tesoriera dell’Aser, è entrata di più nel merito della giornata ricordando che l’𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚 𝐞̀ 𝐚𝐥 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐨 𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 tra 21 Paesi europei per 𝐜𝐚𝐮𝐬𝐞 𝐭𝐞𝐦𝐞𝐫𝐚𝐫𝐢𝐞 (le azioni legali intentate a scopo intimidatorio contro i giornalisti, ndr) e tra i primi anche per i 𝐝𝐢𝐬𝐜𝐨𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐢 𝐨𝐝𝐢𝐨 e per la 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐟𝐢𝐬𝐢𝐜𝐚 usata contro i giornalisti”. L’inviato 𝐃𝐚𝐧𝐢𝐞𝐥𝐞 𝐏𝐢𝐞𝐫𝐯𝐢𝐧𝐜𝐞𝐧𝐳𝐢, che nel 2017 fu colpito da una testata sferrata da 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐒𝐩𝐚𝐝𝐚, poi processato e condannato, ha allungato lo sguardo fino ai campi di battaglia, dove “l’𝐈𝐝𝐟 (l’esercito israeliano, ndr), nelle prime fasi dell’𝐢𝐧𝐯𝐚𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐆𝐚𝐳𝐚, ammetteva i giornalisti che però dovevano firmare un 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐞𝐧𝐬𝐮𝐫𝐚: venivano accompagnati nella striscia di Gaza in un sito scelto dall’esercito, dovevano riprendere quello che ti indicavano e alla fine del servizio dovevano sottoporre per due volte il materiale al taglio dei 𝐬𝐞𝐫𝐯𝐢𝐳𝐢 𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢𝐠𝐞𝐧𝐜𝐞 𝐢𝐬𝐫𝐚𝐞𝐥𝐢𝐚𝐧𝐢. Ora i giornalisti internazionali non sono più ammessi. Dentro ci sono solo 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢 𝐩𝐚𝐥𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐞𝐬𝐢, circa 200, e 𝐑𝐢𝐜𝐜𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐈𝐚𝐜𝐨𝐧𝐚 (a 𝐏𝐫𝐞𝐬𝐚 𝐃𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚, ndr) ha messo insieme quanto hanno ripreso loro”. L’esperienza dell’inviato di guerra è stata illustrata anche dal giornalista 𝐋𝐨𝐫𝐞𝐧𝐳𝐨 𝐁𝐢𝐚𝐧𝐜𝐡𝐢.
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𝐀𝐥𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞, 𝐬𝐞𝐠𝐫𝐞𝐭𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐅𝐧𝐬𝐢 ha elencato cosa manca all’Italia per entrare nel novero dei Paesi dove il diritto alla libera informazione è realmente tutelato: “Il 𝐌𝐞𝐝𝐢𝐚 𝐅𝐫𝐞𝐞𝐝𝐨𝐦 𝐀𝐜𝐭, il regolamento europeo che tutela la professione del giornalista, non è stato ancora approvato. La 𝐬𝐜𝐚𝐝𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐯𝐢𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐚𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 è l’8 agosto ma non credo che ce la faremo. E dentro c’è anche la 𝐠𝐨𝐯𝐞𝐫𝐧𝐚𝐧𝐜𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐑𝐚𝐢. In Italia i giornalisti 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐧𝐨𝐭𝐢𝐳𝐢𝐚 in maniera compiuta delle 𝐨𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐞 𝐜𝐚𝐮𝐭𝐞𝐥𝐚𝐫𝐢 e sono ancora 𝐬𝐨𝐠𝐠𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐚𝐥 𝐜𝐚𝐫𝐜𝐞𝐫𝐞 se condannati per 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐚𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐚 𝐦𝐞𝐳𝐳𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐦𝐩𝐚: questo resta un reato doloso nonostante 𝐝𝐮𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞𝐧𝐳𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐫𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 che hanno chiesto al parlamento di cancellare il carcere per i giornalisti. Le proposte di legge in parlamento prevedono 𝐬𝐚𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐟𝐢𝐧𝐨 𝐚 𝟓𝟎𝐦𝐢𝐥𝐚 𝐞𝐮𝐫𝐨, quasi quasi meglio il carcere. Nemmeno la 𝐥𝐢𝐪𝐮𝐢𝐝𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐠𝐢𝐮𝐝𝐢𝐳𝐢𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢 durante una causa, cioè il pagamento equo delle loro collaborazioni, è operativa. Attualmente un giornalista può guadagnare 𝐝𝐮𝐞 𝐞𝐮𝐫𝐨 𝐚 𝐩𝐞𝐳𝐳𝐨. Chiedemmo questa misura sulla base di una legge emanata nel 2022, prima firmataria 𝐆𝐢𝐨𝐫𝐠𝐢𝐚 𝐌𝐞𝐥𝐨𝐧𝐢. Ogni valutazione sulla libertà di informazione in Italia si scontra con questi fatti. Qui 𝐥𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞”.
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𝐀𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐌𝐢𝐦𝐦𝐨 𝐑𝐮𝐛𝐢𝐨 𝐞𝐫𝐚 𝐚𝐜𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐚𝐭𝐨 dalla scorta (in mattinata si è collegata da remoto con 𝐂𝐨𝐧𝐬𝐞𝐥𝐢𝐜𝐞 un’altra collega costretta a spostarsi sotto protezione, 𝐌𝐚𝐫𝐢𝐥𝐮̀ 𝐌𝐚𝐬𝐭𝐫𝐨𝐠𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐧𝐢). Rubio ha raccontato di avere “subìto 𝐝𝐮𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐞 (cortei di camorristi che effettuano blitz armati a scopo intimidatorio, ndr). Mi occupavo delle 𝐟𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐚𝐛𝐮𝐬𝐢𝐯𝐞, sparavano di notte. Postai un video di una festa fatta da capoclan nel loro fortino e scrivevo soprattutto di 𝐫𝐢𝐜𝐢𝐜𝐥𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐝𝐞𝐧𝐚𝐫𝐨 𝐬𝐩𝐨𝐫𝐜𝐨, apertura di centri scommesse e di attività di ristorazione. Ricevetti 𝐦𝐢𝐧𝐚𝐜𝐜𝐞 𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞. A voi posso dire di 𝐭𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐨 𝐥’𝐨𝐬𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨 𝐬𝐮 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐟𝐞𝐧𝐨𝐦𝐞𝐧𝐢, queste persone entrano nell’economia e realizzano enormi proventi, una sana imprenditoria locale non regge”.
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𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐁𝐨𝐧𝐚𝐜𝐢𝐧𝐢, 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐧𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐀𝐬𝐞𝐫, ha riportato il focus sul piano internazionale. “𝐈𝐥 𝐠𝐞𝐧𝐨𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 – ha affermato – è la forma più attuale, 𝐝𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐞 𝐝𝐢𝐬𝐮𝐦𝐚𝐧𝐚 utilizzata dal 𝐠𝐨𝐯𝐞𝐫𝐧𝐨 𝐢𝐬𝐫𝐚𝐞𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨 per risolvere il problema della 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐩𝐚𝐥𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐞𝐬𝐞 nella 𝐒𝐭𝐫𝐢𝐬𝐜𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐆𝐚𝐳𝐚. La “stagione di caccia” – questa la conclusione amara e ironica del giornalista – terminerà solo quanto sarà risolto definitivamente il problema e si potrà realizzare sulle coste del Mediterraneo 𝐢𝐥 𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐓𝐫𝐮𝐦𝐩 (trasformare la Striscia di Gaza in una località turistica ad uso dei ricchi del pianeta, ndr).
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𝐀𝐥𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞, 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐥𝐮𝐝𝐞𝐧𝐝𝐨, ha esteso la dissertazione al contesto geopolitico internazionale: “Quello che avviene in 𝐏𝐚𝐥𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐚 è una 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐮𝐦𝐚𝐧𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢𝐚 – ha concluso – Anche per quanto riguarda i 𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢: sono 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐝𝐢 𝟐𝟎𝟎 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐮𝐜𝐜𝐢𝐬𝐢 𝐚 𝐆𝐚𝐳𝐚. Scriviamo lettere all’ambasciata israeliana in Italia auspicando che sia concessa ai giornalisti la possibilità di entrare nella Striscia e che lì sia 𝐠𝐚𝐫𝐚𝐧𝐭𝐢𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐞𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢. Abbiamo chiesto anche l’apertura ai giornalisti dei 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐢𝐬𝐠𝐢𝐨𝐫𝐝𝐚𝐧𝐢𝐚 ma anche in questo caso nessuna risposta. 𝐋’𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐭𝐭𝐚𝐜𝐜𝐨, e questo vale anche nel teatro di guerra tra la 𝐑𝐮𝐬𝐬𝐢𝐚 e l’𝐔𝐜𝐫𝐚𝐢𝐧𝐚”.
Gioele Caccia
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